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Che cosa è “il Graben di Radicofani”? 

Un “Graben” (termine di origine tedesca), per definizione, è una depressione tettonica allungata, generata dall’attività distensiva di faglie che lo delimitano ai bordi. Nel caso di Radicofani, il Graben omonimo è legato alla strutturazione della catena appenninica, iniziata circa 40 milioni di anni fa, il cui fronte è migrato, e migra ancora, da Ovest verso Est ed è attualmente presente al largo della costa adriatica. Nel corso della sua evoluzione, alle spalle del fronte della catena, si strutturavano dei bacini distensivi che migravano spazialmente e nel tempo da Ovest verso Est seguendo l’avanzamento della catena stessa. Per rimanere in Toscana, il bacino distensivo più recente è rappresentato dalla Val Tiberina. Il Bacino di Radicofani ha cominciato la sua strutturazione circa 6 milioni di anni fa in risposta ad un contesto geodinamico che vedeva il fronte della catena in una posizione più occidentale rispetto ad oggi. La sismicità attualmente presente in quest’area risponde quindi, dal punto di vista geodinamico, a condizioni di stress tettonico minori rispetto a quelli presenti nei bacini intramontani appenninici (i.e. Mugello, Val Tiberina, Colfiorito, Norcia…) ma pur sempre presente. 

 

E cosa comprende il comprensorio sismico dei Monti Vulsini? 

Il comprensorio dei Monti Vulsini borda a sud il bacino di Radicofani ed è legato all’attività vulcanica tardo Pleistocenica (c.a. 300000-100000 anni) che vede i suoi principali centri eruttivi nel cratere di Latera e di Bolsena. L’attività sismica dell’area, oltre a dipendere del contesto tettonico precedentemente descritto, risente ancora di un’attività sismica probabilmente legata all’assestamento strutturale delle caldere vulcaniche sopra accennate e che hanno un’età leggermente più giovane rispetto al complesso amiatino. Recenti studi attribuiscono ad esempio a questa causa l’evento sismico di M4.3 del 30 maggio 2016 localizzato presso Torre Alfina/Castel Giorgio (Braun et al., 2018a). 

 

È pericoloso praticare attività di estrazione e re-iniezione in zone come queste?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe prima definire che cosa si intende per “pericoloso”.

Prendiamo come riferimento la carta della pericolosità sismica (https://www.1d5920f4b44b27a802bd77c4f0536f5a-gdprlock/url?q=https://ingvterremoti.com/la-pericolosita-sismica/&source=gmail&ust=1651741198044000&usg=AOvVaw1RVEvMKZP2pOhUzRZzYjVa">https://ingvterremoti.com/la-pericolosita-sismica/), rilasciata nel 2004, che fornisce un quadro delle aree più pericolose in Italia. La mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (GdL MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2006, n. 3519, All. 1b) è espressa in termini di accelerazione orizzontale del suolo con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, riferita a suoli rigidi (Vs30>800 m/s; cat. A, punto 3.2.1 del D.M. 14.09.2005). 

Come si evince dalla mappa allegata le aree geotermiche toscane si trovano nella fascia colorata verde (0.125 – 0.15 g) al di sotto della media italiana, con un rischio sismico più alto rispetto ad aree come la Sardegna (grigio azzurro) ma più basso rispetto alla fascia Appenninica (colori rosso-viola). Comparato con altre attività antropiche in Italia (p. es. estrazione di idrocarburi in Basilicata) il rischio sismico nelle aree geotermiche toscane è molto minore.